Il nome del borgo deriva dal latino moggius o modiume che corrisponde ad un’antica unità di misura agraria.
Sorge alle pedici del monte Civitella, sulla cui cima vi sono ancora resti di mura greche e di costruzioni di età romana.
Centro agricolo del basso Cilento, situato nella valle del torrente Badolato a soli 3 km da Vallo della Lucania, conosciuto certamente per la presenza del Museo della Civiltà Contadina.
Nel mese di agosto si organizza un evento molto il “Mojoca Festival”, manifestazione di più giorni che vede la partecipazione di tantissimi artisti di strada e rappresenta un forte attrattore per i turisti.
Fino al 1966 non avevamo che scarse notizie sul villaggio, ma una fortunata campagna di scavi sulla vetta della Civitella (818 metri slm) riconsegnò alla storia importanti tracce del passato. Fu un gruppo dì studenti del posto a riscoprire i primi segni, già però individuati da alcuni eruditi del ‘700.
Gli scavi, diretti da M. Napoli, riportarono alla luce: mura da terrazzamento costituite da grossi blocchi squadrati, frammenti di tegole e ceramica vascolare, una moneta di bronzo velina (pare con Zeus barbato) e una con l’effige di Costantino, quattordici pesi da telaio, le fondazioni di un grande ambiente a pianta quadrata, una porta ad arco e mura del IV secolo a.C. (oltre 150 m.). Gli elementi emersi fanno senz'altro pensare a un centro fortificato (frourion) con funzioni, insieme a quelle esistenti a Novi, di controllo del valico di Cannalonga e delle valli convergenti verso il mare di Velia.
Del frourion greco, certamente fortezza rifugio enotrio poi ampliato, non è più notizia, però, dopo l'arrivo nel territorio dei Romani che fecero della località, dove ora sorge Vallo della Lucania, una stazione daziaria. Nulla può dirsi di sicuro sul soggiorno nel territorio della baronia di legioni romane che spiegherebbe i toponimi “castra”, tuttora esistenti, che tuttavia potrebbero anche essere di età longobarda o normanna. È certo, comunque, che il propugnacolo della Civitella fu completamente abbandonato in età normanna perché ritenuto strategicamente inutile.
Gli abitanti utilizzarono i resti architettonici per la costruzione di case e per la cappella dell'Annunciazione, menzionata da mons. Odoardi nel suo decreto di visita alla chiesa di S. Bartolomeo, «vulgariter S. Maria della Civitella antiquitus erecta extra moenia» di Pellare. Anche la chiesa parrocchiale di S. Veneranda di Moio, la cui porta è ornata da stipiti del '400, fu costruita con materiale archeologico.
Di Moio è probabile indizio in una pergamena cavense del 1052 ed è menzione nel codice di Grottaferrata, precisarnente alla testimonianza del monaco Romano riguardante l'operato dell'egùmeno Elia di S. Maria di Pattano (a. 1458). Quest'ultimo aveva alienato a favore dei consanguinei («heres Riccardi Constantini» di Moio e «heres Thomasii de Grasso») un vasto oliveto e un vigneto di proprietà della badia.
In un documento della Camera della Sommaria si legge che tra i casali «de ditta Università del Yoyo» è anche «Moyo Troyano».
Non si sa quali diritti vantassero i principi di Sanseverino di Salerno su Moio e Massascusa, poi avocati dalla corona a causa della ribellione di Ferrante contro Carlo V.
Il duca di Monteleone concesse Moio in suffeudo a Giovan Battista Similia con l'obbligo del dono annuo di un sonaglio e di un guanto di camoscio «chiracotecam rulam de camorcia et sonalieram unam». A costui successe il figlio Pietro Paolo che morì di peste nel 1656 lasciando unica erede la figliuola Maria Teresa di sette anni, la quale andò in moglie a Giuseppe Mazzarella di S. Mauro Cilento. Rimasta vedova si risposò con Nicola Pepi di Napoli da cui ebbe dei figli tra i quali D. Popa, poi divenuta monaca a Laurino, e D. Eugenia; gli altri figliuoli morirono in tenera età. Da Maria Teresa Similia il feudo nel 1705 passò alla figliuola Eugenia che sposò Antonio Milano di Amalfi, penalista molto stimato presso le corti di Carlo III e Ferdinando IV.
Nel 1747 D. Antonio si recò a Moio ove si trattenne otto giorni. Incaricò allora il fratello Giovanni di restaurare il palazzo baronale e costruire anche un molino. Dalle Refute si apprende che nel 1750 Moio passò da Giuseppe Pasca ad Antonio Milano e nel 1765 da Gennaro Milano a Saverio Pepe, la cui famiglia conservò il feudo fino all'abolizione della feudalità (ultimo barone l'omonimo nipote Saverio Pepe, a. 1806).
LATITUDINE: 40.2482111
LONGITUDINE: 15.269481199999973
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